di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Macché 800 miliardi di spesa in deficit con debito pubblico nazionale o comune che sia! Frau Ursula von der Leyen ha subito fatto marcia indietro sulla necessità di intervento dei governi a sostegno degli investimenti europei, non appena ha saputo che sui conti delle famiglie ci sono 10 mila miliardi di risparmi. Si possono usare quelli per investire, ha pontificato in pieno accordo con i componenti della commissione che presiede, senza considerare che senza tale liquidità gli europei smettono anche di mangiare.
E così a Bruxelles, ispirandosi al modello svedese Isk, è nata l’assurda idea di poter tirar fuori l’Europa dal baratro economico in cui è infilata, facendo affluire anche i pochi “spiccioli” di chi non arriva a fine mese, dentro la “jungla” dei mercati.
Sì, perché questa è l’idea che ormai serpeggia da giorni dentro palazzo Berlaymont. Una strategia che sta prendendo forma e che, secondo loro, porterebbe a cambiare radicalmente il modo in cui i cittadini europei gestiscono il proprio denaro. Una strategia che punta a trasformare i depositi bancari (oggi immobili e a basso rendimento) in motori della crescita.
Secondo la Commissione europea, l’unione tra chi Risparmia e chi Investe, vuole essere, pensate un po’, un tentativo di rianimare il sistema finanziario dell’Ue partendo dal basso: dai conti correnti delle famiglie. E’ in questo scenario che entra in gioco il modello svedese Isk*, una sorta di cassaforte smart per investimenti che potrebbe diventare il passe par tout europeo per far decollare mercati e imprese.
In breve ed in contrasto alle più semplici basi che guidano la dottrina economica, si vorrebbe risolvere quello che è un problema di domanda – che avvolge da decenni le economie europee – riducendo ancora di più la capacità di spesa di cittadini e famiglie. Ovvero di coloro che invece, dentro il sistema economico, sono per numero, le figure principali deputate a sostenerla.
Perché è bene ricordarlo per chi si è perso qualche puntata. L’Europa non ha un problema di bassa produzione, al contrario manca chi la consuma. Problema che pacificamente tenderà ad allargarsi con i dazi di Trump in arrivo, se non si provvederà al più presto a fare in modo che venga consumata internamente. Del resto, è lo stesso piano sulla competitività, che la von der Leyen stessa ha commissionato a Draghi, ad evidenziarlo a chiare note.
Senza dimenticare poi che la relazione tra risparmi e investimenti, è per dottrina ormai consolidata, opposta a quella che i tecnocrati di Bruxelles ci fanno credere da anni. Sono i secondi che producono i primi e non viceversa. L’idea che i risparmi creino investimenti è stata ormai respinta sia empiricamente che teoricamente. Ci sono persino documenti della Banca d’Inghilterra e della Deutsche Bundesbank che lo confermano. L’ideologia neoclassica alla quale hanno fatto seguito le frodi neoliberiste in tema di pensiero economico ha frenato il corretto dibattito sull’economia per molti decenni. È ora di fermare tutto ciò, e tornare a comprendere che, senza lo Stato e l’investimento pubblico in primis, non c’è modo che i privati possano risparmiare nella valuta che lo Stato stesso emette in regime di monopolio.
Sono i governi e soltanto loro, attraverso la spesa in deficit, che possono toglierci dalla gabbia di quella che è una recessione ormai perenne e non certamente i “fantomatici” risparmi di cittadini e famiglie che già hanno dato ampia prova di non essere sufficienti a consumare quello che si produce.
All’Eurotower sono convinti che, il patrimonio liquido detenuto dai cittadini dell’Unione Europea che ammonta a 10mila miliardi di euro, rappresenti una ricchezza colossale, tale da poter generare ritorni annuali da capogiro, stimati in circa 350 miliardi. Non sappiamo da dove derivino questi numeri, ma conoscendo come ragionano le loro menti diaboliche, costantemente in crisi di astinenza da “bolle” finanziarie, non andremo certamente fuori strada nell’intuire che l’idea è quella di far affluire anche gli ultimi risparmi di chi non mangia più dentro le “scatole cinesi” di prodotti derivati già in elaborazione.
Bruxelles, ormai avamposto della guerra che il mondo della Grande Finanza da decenni combatte contro i popoli, ha fiutato la posta in gioco e ha messo in campo la Savings and Investments Union (Siu), un’operazione ambiziosa che punta a rompere l’inerzia del risparmio parcheggiato per trasformarlo in motore della crescita europea.
Solo che a crescere saranno i risparmi dei soliti noti e non la capacità di consumo e quindi la soddisfazione dei bisogni della maggioranza.
E per non far sapere alla gente, quelle che sono le loro reali intenzioni, si usano parole ammalianti, come: ridare slancio ai canali che collegano i risparmiatori ai mercati finanziari, togliendo la polvere da strumenti ancora troppo poco utilizzati. Il piano è quello di favorire l’investimento diretto in strumenti finanziari, e nel frattempo rendere la vita più facile alle aziende. Insomma il paradiso terrestre a portata di mano: più soldi per tutti senza che i governi spendano, in quella che è una rivisitazione in chiave moderna, del noto miracolo dei pani e dei pesci che ad oggi pare essere riuscito solo a Nostro Signore. Un miracolo che se dal pane e i pesci passiamo alla moneta, solo i governi creatori di denaro dal “nulla” sono in grado di fare sul pianeta.
L’intenzione è di coinvolgere ogni segmento della struttura finanziaria dell’Unione, rafforzando quanto già avviato con l’Unione Bancaria e quella dei Mercati dei Capitali, insistono da Bruxelles. Ancora ci devono spiegare come unendo le banche e i capitali la gente potrà avere più soldi da spendere. Forse aumentando il credito e quindi ancora più rate da pagare per i popoli ormai confinati nel debito perenne.
La presidente della commissione europea ha parlato persino di “doppia vittoria”, evocando un’Europa dove le famiglie possono finalmente contare su occasioni di investimento meno ingessate, e le imprese trovano la linfa necessaria per innovare e assumere. Questo “meno ingessate” riferito ai risparmi investiti, ci deve far preoccupare e non poco, dal momento che una volta che gli stessi saranno affluiti nella “mangiatoia” dei mercati, il loro ritorno a casa è tutt’altro che garantito.
Persino la Bce si è messa a fare i conti: se i risparmiatori europei iniziassero a investire, si potrebbe sbloccare un flusso da 8 trilioni di euro. Una marea di liquidità che oggi resta bloccata in depositi a rendimento rasoterra. Non faranno certo salti di gioia i banchieri, che proprio su quei depositi hanno costruito i loro profitti colossali conseguiti in questo triennio. Ma siccome il progetto globalista elitario è finalizzato all’accumulo di denaro in pochissime mani, poco importa se anche il mondo bancario subirà le conseguenze del prevedibile disastro finanziario, l’importante è che a beneficiarne siano quel pugno di famiglie che ci comandano.
Fin qui il libro dei sogni, che però si scontra con la realtà di una economia europea volutamente distrutta stessa ammissione di Draghi, dalle politiche austere fabbricate dai medesimi tecnocrati di Bruxelles che oggi ci stanno infilando dentro il tunnel di un ancor più nefasto futuro. Un Europa fatta di salari stagnanti e di un potere d’acquisto ormai totalmente eroso, il sol pensare di mobilitare masse di risparmio ignorando che la maggioranza ormai vive con stipendi sempre più spesso da sopravvivenza, significa non aver messo bene a fuoco la fotografia sociale del continente. Di fronte a milioni di cittadini che, tra inflazione e precarietà, arrivano a fine mese contando i centesimi, parlare di grandi risparmi in un continente dove spesso il conto corrente segna rosso vuol dire raccontare solo metà della storia.
Se dall’Europa si passa all’Italia, il modello nordico di matricola svedese sul quale a Bruxelles vorrebbero far rifiorire il Vecchio Continente, da sogno assume i connotati delle barzellette che si raccontano al bar sotto casa. Con 22 milioni di italiani di cui 16 milioni lavoratori dipendenti che contano, solo con il fisco, 1.200 miliardi di debiti, al massimo cittadini e famiglie, per contribuire agli investimenti europei, possono firmare ulteriori pagherò, con la loro vita a garanzia.
Qualcuno dovrebbe avvertire i Signori di Bruxelles, che il patrimonio colossale di 10 mila miliardi euro su quale hanno messo i loro occhi, non esiste. O almeno non è quello che loro pensano. Sui conti correnti della maggior parte delle persone girano i soldi che servono ai consumi quotidiani, soldi che se li getti nell’investimento, faranno crollare in modo definitivo non solo i consumi ma anche la vita della gente.
Il denaro, dove non si consuma, è ancora più essenziale per scambiare beni e servizi, prima che essere usato per nuovi investimenti. Le conseguenze di una quantità di denaro insufficiente a consumare tutta la produzione, sono i fallimenti e la disoccupazione. E nei paesi dove le aziende falliscono e l’economia è in recessione crolla anche la volontà di chi vorrebbe investire.
Se queste sono le idee che frullano nella testa dei nostri politici, dobbiamo constatare che la salvezza per europei e italiani è ancora molto, ma molto lontana.
di Megas Alexandros
*Il modello nordico: come funziona l’Isk
Creato in Svezia nel 2012, l’Investment Savings Account è un conto che permette di comprare e vendere strumenti finanziari senza l’incubo della tassazione sulle plusvalenze. In cambio, si paga un’imposta fissa annuale, calcolata in base al valore medio delle attività detenute e a un parametro definito dallo Stato. Dal 2025, fino a 13mila euro investiti saranno esenti da imposta. Una soglia destinata a raddoppiare nel giro di un anno.
Il cuore dell’esperimento svedese è la semplificazione. Basta con la giungla di aliquote e detrazioni, con i calcoli cervellotici sulle minusvalenze. La tassazione viene decisa in anticipo, a prescindere dal risultato dell’investimento. Nessuna tassa su dividendi o utili da compravendita. Il prelievo, anche se forfettario, può essere compensato con eventuali perdite.
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