La cura Milei-FMI ottiene il primo risultato: forte aumento della povertà in Argentina.

I dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) rilevano un incremento dell'11,7% in soli sei mesi. 53 argentini su 100 vivono in povertà. Julie Kozack, portavoce dell'Istituto guidato da Kristalina Georgieva: "situazione sociale delicata".

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Presentatosi alla corsa per la Casa Rosada con una motosega, come simbolo di una chiaro intento di voler tagliare in modo massiccio spesa e debito pubblico, l’ascesa del politico Javier Milei, in fatto di comunicazione, ricorda decisamente quella del Matteo Renzi “rottamatore”, arrivato a Palazzo Chigi con la promessa di spazzar via i vecchi politici e quel loro modo clientelare di far politica in favore delle classi elitarie che ha ridotto il paese a pezzi.

Al contrario di Renzi però, che niente ha fatto per mettere in atto i suoi buoni propositi, finendo per rottamare se stesso; Milei, invece ha eseguito pedissequamente quello che prometteva.

Purtroppo per il popolo argentino (ma vista l’inerzia palesata da Renzi, anche per quello italiano, ndr), era facilmente prevedibile come la messa in atto dei malsani e contrapposti propositi di Milei, rispetto a quelli del leader di Italia Viva, avrebbe aggravato la già precaria situazione economico-sociale del suo paese.

Dopo solo sei mesi dal ricoprire la carica di 54° presidente dell’Argentina, Milei, con la messa in atto delle politiche di austerità estrema tanto promesse, è riuscito ad innalzare la povertà nel paese dell’11,7% portandola al 52,9%.

A dircelo, in una conferenza stampa tenuta nei giorni scorsi è la portavoce del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Julie Kozack.

Chi l’avrebbe mai detto!

Proprio il FMI, ovvero quell’organizzazione internazionale che da anni tiene sotto lo scacco del debito l’Argentina, obbligandola a politiche economiche austere e certamente sponsor di Milei, oggi si preoccupa che il presidente argentino abbia forse esagerato con la sua motosega.

Nelle stanze dell’Istituto presieduto da Kristalina Georgieva si teme per la tenuta sociale del paese dopo l’ennesimo esperimento di “Stato minimo” di stampo neoliberista che i poteri che guidano il mondo occidentale hanno deciso di mettere in atto per mano di Milei.

Al FMI si teme di aver caricato troppo a pallettoni il pittoresco l’ultra-liberista presidente argentino.

Lo “Stato minimo” è un modello nel quale lo Stato rinuncia a ogni ruolo di pianificazione, gestione e controllo dell’economia, riducendo il proprio compito a poco più che il controllo dell’ordine pubblico e sociale a tutela degli interessi del mercato.

Di tale modello – spesso definito “anarco-capitalista” – e della sua dottrina anarchica, Milei mantiene però soltanto la volontà di abbattere la struttura statale. Mentre getta alle ortiche tutta quella parte più umana della filosofia anarchica teorizzata nel diciannovesimo secolo da filosofi come Proudhon e Bakunin, secondo la quale la gestione dell’economia e più in generale della società andava autogestita dai cittadini attraverso la cooperazione e il mutualismo. Nella visione di Milei i compiti sottratti allo Stato sono appannaggio di chi ha i soldi per comprarseli, sottoposti alle sole regole del libero mercato.

E’ con il passaggio dal liberismo al neoliberismo, ovvero l’estendersi del concetto di proprietà all’interno della filosofia anarcocapitalista, che siamo arrivati a sdoganare il concetto di schiavitù volontaria in riferimento al capitale umano.

E’ bene essere chiari, nei sistemi economici moderni basati sulla moneta, essere povero equivale ad essere schiavo. E’ attraverso la povertà indotta ed i debiti creati artificialmente che l’uomo diventa letteralmente un capitale che si può comprare e vendere, alla stregua di un bene o una azienda.

Le politiche adottate da Milei e spinte con forza nel mondo dal Fmi – braccio armato dei poteri elitari – è bene ricordare sono le stesse che da decenni, con il gradimento dei poteri locali, vengono imposte anche in Europa, con Italia e Grecia in testa alla classifica dell’austerità.

Nel nostro paese dal 2019 ad oggi il tasso di povertà è quasi raddoppiato, come conseguenza delle politiche lacrime e sangue che hanno imposto al paese una serie consecutiva, lunga decenni, di avanzi primari che non trova riscontro nella storia economica degli stati moderni.

Come è arrivato Milei in così pochi mesi ad aumentare in modo più che considerevole il numero degli argentini in povertà?

Semplice – per raggiungere l’obiettivo che il presidente argentino si era prefissato fin da subito di ridurre la spesa del settore pubblico del 5% del PIL entro la fine del 2023 – ha deciso di non rinnovare i contratti di migliaia di dipendenti pubblici, di tagliare i sussidi statali per il carburante e i trasporti, di sospendere le gare d’appalto per le opere pubbliche, di non adeguare all’inflazione le pensioni e gli stipendi pubblici e di tagliare i pagamenti alle province.

Non solo, la motosega del libertario presidente argentino ha reintrodotto una tassa sul reddito e aumentato le imposte per il commercio estero. Uno shock economico che – fonti governative – ci dicono aver registrato il primo avanzo mensile del bilancio pubblico già nel primo mese di governo di Milei.

La narrativa a giustificazione di questo scempio – che anche l’economista Milei propina – è sempre la stessa che da decenni viene usata per sostenere tutta quella follia dogmatica gira intorno al principio dell’austerità espansiva: ossia, la vana promessa al popolo che il sacrificio iniziale sarà ricompensato da un futuro di ripresa e prosperità economica.

Se la ricchezza finanziaria rappresenta la quantità di denaro risparmiato dal settore privato, gli economisti che sostengono questa tesi, dovrebbero spiegarci come si fa ad essere tutti più ricchi finanziariamente, tagliando la spesa ed aumentando le tasse. Ovvero interrompendo quello stesso ed unico flusso che è in grado di crearla (la questione è puramente matematica, ndr).

Certo, molti risponderebbero prontamente che in realtà poi il flusso non si interrompe perché nei fatti i bilanci degli stati sono perennemente in deficit. E qui entriamo dentro quello che è il fondamentale aspetto della politica fiscale che indirizza la spesa e regola la redistribuzione della ricchezza.

E’ chiaro che se la spesa in deficit dei governi è destinata unicamente ad una ristretta élite o come nel caso degli interessi sul debito a chi ha già risparmio, stiamo parlando di misure a carattere altamente regressivo che invece di redistribuire la ricchezza vanno invece ad accumularla sempre più in poche mani.

Se guardiamo ai target finali che Milei si è proposto di raggiungere nell’arco temporale del suo mandato, abbiamo il chiaro esempio di come l’Argentina sia l’ennesima cavia per testare lo step successivo di un esperimento, che i poteri finanziari globali, hanno tutta l’intenzione di replicare in giro per il mondo: riduzione della spesa pubblica al 25% del PIL, riforma del sistema pensionistico affidandone la gestione ai fondi pensionistici privati, rendere il lavoro più economico deflazionando i salari e attirare investimenti grazie a una massiccia deregolamentazione e privatizzazione delle società statali o a partecipazione statale.

E come se non bastasse, non poteva mancare il definitivo appalto della sovranità monetaria a poteri profondi esterni alle istituzioni argentine, messo in atto con la progressiva dollarizzazione dell’economia e la deliberata rinuncia da parte del governo al controllo sui tassi di cambio e sui prezzi.

Riguardo alle azioni politiche fuori dai confini nazionali, La prima decisione intrapresa da Milei appena insediatosi è stata quella di interrompere il processo di adesione del suo Paese al blocco dei BRICS che prevedeva l’ingresso dell’Argentina a gennaio scorso. Un chiaro segnale del riallineamento del paese sudamericano all’asse occidentale guidato dagli Stati Uniti e Israele.

“Stati Uniti e Israele saranno i nostri principali alleati”, aveva dichiarato Milei già durante la campagna elettorale. In segno di solidarietà alla causa sionista, il presidente aveva persino promesso di spostare l’ambasciata argentina in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme ed una propagandistica più che vocativa conversione alla fede ebraica: “Voglio essere il primo presidente ebreo di questo Paese”.

Sul fronte interno colpisce l’iniziativa parlamentare in netta controtendenza al radicale programma di austerità imposto da Milei. La riforma approvata dal parlamento per alzare la spesa pensionistica per adeguare gli importi all’inflazione a tre cifre che pesa sui cittadini, ha costretto il presidente argentino a ricorrere al suo potere di veto per bloccarla.

In definitiva risulta sempre più chiaro come Milei rappresenti il gattopardo che proprio l’ordine stabilito (in questo caso quello neoliberista), utilizza per depotenziare il malumore popolare e proseguire con la propria agenda elitista e del tutto contraria agli interessi dei popoli.

In questo Milei è del tutto assimilabile a personaggi come il nostro Matteo Renzi, che arrivano al potere con slogan incendiari, una comunicazione forte e rivoluzionaria e con la promessa di scardinare il sistema, per poi rivelarsi non altro che parte di quel sistema che utilizza queste figure per proseguire con il proprio programma economico-politico e/o creare shock da utilizzare per mettere in essere grandi riforme che poi, in fin dei conti, risultano essere tutto fuor che finalizzate a sradicare il sistema, quanto piuttosto utili alla sopravvivenza del medesimo.

di Megas Alexandros

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MEGA ALEXANDROS (ALIAS FABIO BONCIANI)

Economista
Modern Monetary Theory specialist
Author of ComeDonChishiotte