di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Come preannunciato il giro che Draghi ha intrapreso nei giorni scorsi per indottrinare i fratelli italiani al sostegno in UE del suo piano, dopo la visita a Marina Berlusconi – con la presenza di Gianni Letta a far da garante – prevedeva il colloquio a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni. E così puntualmente è avvenuto.
Un’ora ed un quarto è stata più che sufficiente all’ex governatore della Banca centrale europea (Bce) per istruire la “Giorgia” non più nazionale e permettere a Palazzo Chigi di uscire con un comunicato nel quale si conferma la piena volontà a trasferire tutto quello che c’è di sovrano nel paese alla commissione europea.
“Un confronto approfondito sul Rapporto sul futuro della competitività europea presentato da Draghi, che contiene secondo il governo diversi importanti spunti, tra cui la necessità di un maggiore impulso all’innovazione, la questione demografica, l’approvvigionamento di materie prime critiche e il controllo delle catene del valore e, più in generale, la necessità che l’Europa preveda strumenti adatti a realizzare le sue ambiziose strategie – dal rafforzamento dell’industria della difesa fino alle doppie transizioni – senza escludere aprioristicamente nulla, compresa la possibilità di un nuovo debito comune. Priorità condivise che rispecchiano anche il lavoro portato avanti dal Governo in Italia e nelle Istituzioni europee. I due presidenti – informa la nota – sono rimasti d’accordo di tenersi in contatto per continuare ad approfondire queste materie”.
Questo è quanto si legge nel comunicato che la presidenza del consiglio ha diffuso a margine dell’incontro. Nessun appunto del governo al report di Draghi ne tantomeno la richiesta di integrarlo con un apposito capitolo dedicato al tema lavoro e diritti connessi, a partire dall’introduzione di un salario minimo onorevole ed un impianto finanziario importante da dedicare a piani di lavoro garantito (PLG), per risolvere il drammatico problema occupazionale che affligge da troppo tempo in Europa non solo il nostro paese.
Anzi, l’allineamento di Roma verso la definitiva cessione delle nostre sovranità a Bruxelles presenti nella testa di Draghi – a partire da quella monetaria – è totale e privo di qualsiasi dubbio.
“Impulso all’innovazione”, la “questione demografica”, temi buttati lì senza far capire alla gente dove realmente si vuole arrivare. Anche se l’esperienze vissute ci dicono benissimo dove siamo arrivati e quale sia la strada che Draghi non ha la minima intenzione di abbandonare.
Gli italiani caduti in disgrazia che non crescono più numericamente perché privati di quel risparmio necessario a metter su famiglia, secondo chi ci comanda, hanno bisogno di essere integrati mediante continui innesti di immigrati, pescando nei mari chi è più disgraziato di noi e disposto quindi a lavorare per un salario ancora più da fame.
La deflazione salariale è il vero obbiettivo della questione demografica che va a soddisfare anche “il controllo delle catene di valore”, altro tema evidenziato nel comunicato di Palazzo Chigi. Dato per assodato che creare vantaggio competitivo per un’azienda aumentando la produttività e contenendo i costi è l’obbiettivo della catena del valore; contenere i salari rientra certamente in questo obbiettivo.
La catena del valore di Porter è un modello di analisi teorizzato da Michael E. Porter nel 1985 all’interno del suo best seller “Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance“ – che mira a massimizzare il valore del prodotto finale per il consumatore.
Compreso questo, è chiaro che nel mondo che piace tanto a Draghi – dove la moneta ed il risparmio sono in mano a pochi – solo le multinazionali ed i grossi gruppi sono in grado, non solo di primeggiare sul mercato e di conseguenza abbattere i piccoli, ma anche di decidere il livello di qualità dei prodotti che consumiamo.
Nell’endorsment di Palazzo Chigi alle volontà di Draghi, non poteva certo mancare il dichiararsi pienamente favorevoli a spendere tutto quello occorre per la difesa e la costruzione di un esercito comune per andare a fare guerra a Putin. Ormai la “la Giorgia sono IO” che nel 2014 dai banchi dell’opposizione criticava le sanzioni alla Russia e metteva in guardia sui pericoli di un “forzato” ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e nella NATO, ha lasciato il posto alla premier italiana, membro dell’Aspen Institute ed ultra fedele ai progetti atlantisti.
Ed infine non poteva mancare il pieno assenso a quello che è il tema più importante: come reperire i soldi. Poiché senza soldi, nelle economie monetarie, niente si fa!
Il Governo italiano riguardo a come far arrivare i soldi ai poteri profondi che lo guidano, “non esclude nulla” a livello di strumenti da utilizzare, compreso il debito comune. Purché arrivino e soprattutto arrivino nelle tasche giuste.
Tanto per essere chiari, lo sdoganamento del termine “debito comune” contenuto nel report di Draghi è solo una necessità per accelerare quello che è un percorso già tracciato per portare l’eurozona ad essere unita anche a livello fiscale e bancario.
Per i più distratti, il debito comune in UE esiste già ed è stato fatto all’indomani della pandemia, con l’emissione di eurobond per finanziare il noto Next Generation UE. Fatto passare allora, come debito da rimborsare a carico dei percettori del denaro – tanto per tenere buoni i falchi – la realtà di pochi giorni fa ci conferma quello che tutti noi sostenevamo che fosse: un debito pubblico europeo che come quelli a livello nazionale, non richiede necessità di rimborso. Numeri elettronici facilmente gestibili dentro i computer della Bce a tasso zero o come ci conferma Draghi stesso, con un semplice rollover alla scadenza; nel caso si voglia continuare a sussudiare con un “reddito da divano” chi possiede ingenti risparmi.
Sul fronte Bruxelles, Draghi ed i poteri italiani dormono sonni tranquilli riguardo ai loro piani. La von der Leyen, al netto del necessario equilibrismo politico per non perdere consensi in patria, è totalmente nelle mani di Mario Draghi e quindi più che desiderosa di procedere spedita verso il completamento dell’Unione. Non per nulla, nella costruzione della nuova commissione europea ha agito in modo da concentrare su se stessa un potere sempre più grande e decisivo.
Con una strategia degna del miglior Machiavelli (certamente suggerita da SuperMario, ndr), la sua nuova commissione, si basa su sei vicepresidenti esecutivi e venti commissari graduati semplici ed affida di proposito ai vari esponenti di governo competenze spesso a mezzadria tra più commissari. Il risultato è che facili conflitti potrebbero insorgere tra i commissari stessi (specie quando sono esponenti di diverse forze politiche). Conflitti che risulta facilmente immaginabile verranno poi risolti dalla presidenza, con il risultato finale di accentrare nelle sue mani molto più potere rispetto alla Commissione precedente.
Il resto lo hanno fatto le epurazioni (modello Thierry Breton), che insieme alla diabolica ripartizione delle competenze appena esposta tarpano le velleità di ribalta di qualche commissario, specie quelli espressione di quei paesi e di quelle forze politiche poco allineate alla sua maggioranza.
A conferma che il recente voto contrario della Meloni alla nomina di Ursula von der Leyen era scritto nel copione dei teatranti, arrivano i festeggiamenti per la nomina dell’italiano Raffele Fitto a vicepresidente esecutivo con le deleghe al Pnrr, alla coesione e alle riforme con un la gestione di un budget comunitario stimabile in circa 380 miliardi di euro.
Nel frattempo il Parlamento europeo si porta avanti su uno dei principali obbiettivi contenuti nel report di Draghi. Ieri a maggioranza a Strasburgo è stata adottata una risoluzione sull’Ucraina, in cui si chiede ai Paesi che l’UE elimini immediatamente tutte le restrizioni agli attacchi di Kiev in direzione del territorio russo. Un passo forse decisivo (speriamo di NO” ndr), verso la terza guerra mondiale.
Come vedete, tutto procede spedito secondo i piani, che non sono certo quelli confezionati dai popoli sovrani!
di Megas Alexandros
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