Non ci sarà nessuna moneta comune per i BRICS+. E questo è un bene!

31 Ottobre 2024 | Attualità, Economia, Geopolitica, News | 0 commenti

Per la prima volta sul mio blog pubblico un articolo di terzi. Lo faccio per l’amico economista e filosofo Matteo Parigi per il quale nutro profonda stima. L’articolo spiega molto bene a livello tecnico il perché i paesi che fanno parte dei BRICS+ non hanno bisogno di una moneta comune, come propagandato con forza dai media mainstream occidentali e persino anche da molti siti della così detta informazione indipendente. 

Per fortuna, dal summit di Kazan, è uscita chiara la volontà di far rimanere sovrani nella propria valuta i singoli paesi, con la quale potranno commerciare liberamente tra loro, come stanno già facendo.

Ci sarà sicuramente l’occasione nelle prossime settimane di chiarire ulteriormente questo tema che interessa da vicino anche le vite degli italiani, dal momento che dentro il dramma di una moneta unica, ahinoi, ci siamo già dentro da tempo.

Buona lettura


Alea iacta est. Da Kazan i protagonisti del grande vertice dei BRICS+ hanno tirato le
somme che in tanti si aspettavano, soprattutto riguardo al nuovo ordine economico ed i
nuovi o aspiranti partecipanti al multipolarismo. Sul nuovo ordine economico e
finanziario, la definitiva Dichiarazione di Kazan è molto chiara: «Noi sosteniamo la
Nuova Banca di Sviluppo nel continuare ad accrescere le valute locali […]
Accogliamo l’utilizzo delle monete locali nelle transazioni finanziarie tra i paesi
BRICS ed i loro partner commerciali» [1]

Innumerevoli voci sono circolate e continuano a ripetersi tuttora a giochi fatti: teorie su
una futura moneta comune, ritorno al Gold Standard, sistemi di pagamento digitali o
creazione di nuove istituzioni finanziarie. Al netto dei dettagli che solo il tempo potrà
definire, la vera idea che è emersa con chiarezza dal summit è la volontà di instaurare
una rete commerciale fondata su due elementi costitutivamente fondanti: i rapporti
bilaterali e l’utilizzo delle rispettive valute nazionali quali mezzi di pagamento
internazionale [2] . Molti dei più importanti rappresentanti dei rispettivi stati hanno infatti
dimostrato di volere sfruttare i giorni passati a Kazan per instaurare, promettere o
rafforzare i rapporti commerciali reciproci [3] .

Tutto ciò confuta quindi definitivamente (per fortuna) una opinione molto comune, un
mantra di sottofondo che sovente serpeggiava tra i meandri dell’opinione pubblica: l’idea
che per realizzare la de-dollarizzazione e per combattere la parassitaria
finanziarizzazione dell’economia mondiale siano necessari due espedienti: da una parte
ri-creare una moneta internazionale dei BRICS alternativa al dollaro; dall’altra
instaurare (anzi “restaurare”) un sistema monetario comune a cambi fissi, magari su
base aurea, vale a dire tornare a Bretton Woods. Ma in entrambi i casi sono rimedi

illusori a problemi che di fatto nemmeno esistono, ma vengono paradossalmente creati
affinché, in linea con una delle leggi del potere, si diano false soluzioni.

Perché una moneta comune sarebbe inutile e dannosa
Per quanto riguarda il primo punto, la creazione di una nuova moneta dei BRICS, va
premesso, prima ancora di addentrarci in analisi tecniche, che è stato Putin stesso a
confutare tutte le voci sulla questione: durante l’ultima conferenza del Valdai Club ha
infatti dichiarato, letteralmente, di non voler ripetere l’errore dell’euro [4] , ossia quello
di sradicare la sovranità monetaria per affidarla ad una organizzazione sovranazionale
totalmente incompatibile con la morfologia e le esigenze di sviluppo dei singoli stati.

Inoltre, gli altri rappresentanti dei BRICS avevano già confermano che un progetto di
moneta comune non è all’ordine del giorno [5] . L’unica eccezione proviene dal
brasiliano Lula, il quale, pare, sia l’unico a parlare del “bisogno” di combattere il dollaro
attraverso la creazione di una nuova moneta, eccezione che in quanto tale conferma la
regola.

Una moneta comune sarebbe totalmente controproducente, se non, alla meglio, inutile e
ciò per ben due motivi: uno di tipo realista, l’altro più tecnico. La prima ragione, quella
realista, è data dalla semplice constatazione che la de-dollarizzazione è, letteralmente,
già in atto: il commercio internazionale tra i BRICS mediante le proprie valute
nazionali ha infatti già superato quello in dollari [6] . In pratica è bastato che i paesi si
mettessero d’accordo attraverso semplici accordi bilaterali per superare la valuta più
utilizzata al mondo e conferma con la più realista delle dimostrazioni che non v’è alcuna
necessità scientifica o naturale di ricreare una nuova moneta, come se il mezzo-moneta
fosse di per sé una pietra filosofale, indipendentemente dalle relazioni commerciali e
politiche che essa, invero, registra.

In secondo luogo, come descritto in precedenza [7] , il problema per un sistema monetario
internazionale (SMI) affinché garantisca indipendenza e libertà politica ai rispettivi
stati, non consiste nella semplice presenza di una risorsa preziosa come l’oro o nella
“forza”; di una moneta comune (e l’esempio dell’euro ne è la conferma lampante), bensì
nel rapporto che si viene a costituire fra i tre elementi fondanti di qualsiasi SMI: regime
dei cambi, mobilità dei capitali, politica monetaria. Un SMI altro non è che un
sistema di accordi e regole comuni concordate dagli stati che ne fanno parte.

Il regime di cambi può essere a cambi fissi o flessibili. Fissi se gli stati (o più
realisticamente uno stato egemone) decidono di fissare il cambio delle proprie monete a
dei valori fissi, tra di loro oppure in riferimento ad una sola valuta in quanto principale
riserva estera ufficiale. Storicamente quest’ultima funzione è stata sovente coperta
dall’oro (Gold Standard, GS) o il dollaro statunitense, anch’esso tra l’altro agganciato al
cambio fisso con l’oro (Gold Exchange, GE). Se si decide per i cambi flessibili, allora
significa che non v’è alcuna valuta unica comune e le monete di ciascuno stato vengono
scambiate tra loro direttamente lasciando che il mercato modifichi i valori monetari via
via secondo lo stato del commercio mondiale.

La mobilità dei capitali è data dal grado di apertura che gli stati concedono ai capitali
stranieri. Detto altrimenti, se gli attori finanziari possono investire i propri capitali in
altri paesi senza che vi siano gravi tassazioni o disincentivi, allora il mercato si dice
aperto e la completa mobilità equivale ad una situazione di piena globalizzazione. Al
contrario, se uno stato disincentiva, blocca o controlla l’entrata di capitali stranieri,
allora significa che il SMI prevede misure di protezionismo e gli stati potrebbero
potenzialmente, nella più radicale delle situazioni, raggiungere l’autarchia.

Infine, ciascuno stato, attraverso la propria banca centrale (BC) utilizza lo strumento
del tasso di interesse per modificare l’offerta di moneta al proprio interno e di
conseguenza i livelli di occupazione. In ciò consiste la fondamentale politica
monetaria che tutti gli stati in quanto tali mettono in pratica quale strumento principale
di intervento politico.

Le possibili combinazioni fra i tre elementi danno vita a quello che viene definito
Trilemma Monetario: tra aperta mobilità dei capitali, indipendenza della politica
monetaria e cambi fissi, è possibile avere contemporaneamente solo due opzioni
insieme, mai tutte e tre. Per fare un esempio, se i BRICS optassero per un SMI a cambi
fissi + aperta mobilità dei capitali, allora non potrebbero fare politica monetaria
indipendente.

Ora, poniamo per ipotesi che venga finalmente creata una BRICS-Currency.
Innanzitutto, la moneta comune instaurerebbe, per sua stessa natura, un regime di cambi
fissi, perché i tassi di interesse sul denaro di tutti i singoli paesi dovranno, in regime di
cambi fissi, parificarsi tutti sullo stesso livello, e di conseguenza anche le rispettive
offerte di moneta interne devono seguire l’andamento del tasso internazionale, nella
misura in cui l’offerta di moneta, in quanto moneta comune, è data dal suo corrispettivo
tasso di interesse. In altre parole, nella misura in cui la moneta è una, uno soltanto è il
suo tasso di interesse attraverso il quale la BC può modificare offerta e domanda di
moneta, ovvero fare politica monetaria. Pertanto, già solo per questo motivo, ciascun
paese perderebbe la propria sovranità monetaria e dovrebbe subirla dalle decisioni
della BC al di sopra di tutti i tesori nazionali. In effetti è esattamente ciò che fa il
Sistema Euro attraverso la Banca Centrale Europea, la quale detiene, essa soltanto,
il comando del tasso di interesse sull’euro per tutti i paesi membri.

Ma, per fare l’avvocato del diavolo, poniamo anche il caso in cui la BRICS-Currency
mantenga, non si sa come, la titolarità del tasso di interesse di ciascuno. Anche in tal
caso non cambierebbe nulla, nella misura in cui la legge di equilibrio del mercato dei
cambi porterebbe comunque a parificare il tasso di interesse di tutti al livello stabilito
dal regime di cambi fissi. Se, per fare una seconda ipotesi, uno stato si trova in stato di
squilibrio macroeconomico ed è inserito in SMI a cambi fissi, potrebbe in teoria
risollevare la propria economia attraverso in intervento monetario espansivo. Esso
corrisponde, saltando i passaggi tecnici, ad un aumento dell’offerta di moneta liquida
che dà vita ad un aumento dell’occupazione e quindi della produzione. Tuttavia,
l’espansione monetaria equivale, a livello internazionale, ad un deprezzamento della

valuta, vale a dire che il tasso di cambio muta e ciò non è permesso in regime di cambi
fissi! Pertanto, il governo è costretto a rialzare il tasso di interesse per riportare il tasso
di cambio al livello stabilito, con valuta estera, vanificando così l’intervento monetario
precedente. In regime di cambi fissi, quindi, le politiche nazionali devono essere
indirizzate solamente al mantenimento della stabilità dei cambi, a discapito
dell’effettiva domanda di moneta nazionale, andando così a sacrificare l’occupazione e
la produzione nazionale sull’altare di un convenzionale “tasso aureo” internazionale.
Ecco come un certo tipo di SMI esautora la sovranità monetaria, diventando un vero e
proprio strumento di governo mondiale.

Dimostrazioni storiche contro il Gold Standard ed i sistemi a moneta unica
È esattamente ciò che è accaduto ogniqualvolta sia stato adottato un cambio fisso, sia
mediante GS, sia durante l’era del dollaro di Bretton Woods. Nel primo caso, quando il
cambio fisso veniva garantito dalla parità con l’oro, tutti i paesi subirono le conseguenze
delle c.d. Grandi Depressioni, la prima durante l’ultimo quarto di secolo del XIX
secolo, la seconda a partire dal giovedì nero del 24 ottobre 1929. In entrambi i casi, gli
stati dovettero fronteggiare corse competitive per accumulare oro affinché le proprie
monete mantenessero la stabilità di cambio, ma tali misure provocarono ingenti
sofferenze ai rispettivi popoli in termini di disoccupazione e scarsità di moneta.

Il sistema di Bretton Woods fu un caso diverso: subito dopo la fine della WWII gli
Stati Uniti approfittarono della vittoria bellica e dell’inedito ruolo mondiale per
costruire un SMI che permettesse loro di governare in aperta egemonia l’economia
mondiale, per lo meno del mondo occidentale. A Bretton Woods venne deciso di
agganciare le valute di tutti i paesi aderenti ad un tasso di cambio fisso col dollaro,
mentre quest’ultimo rimase legato all’oro ad un cambio fisso di $35/oncia. Quel periodo
è tuttora noto, soprattutto agli europei, come l’era dei Trenta Gloriosi, perché furono tre
decenni di crescita relativamente florida per i paesi usciti dal disastro della WWII.
Tuttavia, il merito non è certo di Bretton Woods, bensì dei rapporti di forza che
all’epoca obbligavano il blocco occidentale a dover competere, prima di tutto proprio
dal punto di vista economico, contro il nemico sovietico. Invero, il cambio fisso con il

dollaro americano fece sì che gli stati aderenti non potevano in alcun modo
modificare la propria politica monetaria, se non con il consenso del padrone di
Washington, oppure attraverso politiche fiscali o misure svalutative, efficaci ma
certamente non paragonabili alla libertà che offre il vero e proprio mezzo di intervento
pubblico-economico quale è l’intervento tasso di interesse/offerta di moneta.

Inoltre, fu decisivo, a differenza del periodo pre-WWII, il fatto che gli stati reduci dal
conflitto mondiale furono molto restii a riaprire le porte del commercio
internazionale alla globalizzazione finanziaria che già aveva messo in ginocchio
intere regioni a causa di speculazioni e attacchi finanziari. Insomma, il periodo che va
dal 1944 alla fine degli anni ’80 può essere visto come una combo del trilemma
monetario abbastanza riuscita tra cambi fissi e protezionismo finanziario, insieme ad
altri fattori come appunto il bipolarismo geopolitico. Ma, come già anticipato, non va
confuso il benessere consumista e concesso dall’alto dell’Europa post-WWII con un
SMI libero dal controllo di attori egemoni e colonizzatori. Anche nella mzigliore delle
ipotesi, in una comunità internazionale non globalizzata e finanziarizzata, per esempio,
il cambio fisso rimane uno strumento di controllo che limita in varia misura
l’indipendenza dei governi.

Osservazioni collaterali
Oggi, non ha più alcun senso parlare di una moneta unica BRICS che sorpasserà il
commercio in dollari, nella misura in cui da Kazan tutte le voci a riguardo sono state
definitivamente messe a tacere. Va ricordato che tutti i principali rappresentanti
politici, ma anche finanziari, tra cui l’importante membro del consiglio della banca russa
Sergei Glazyev [8] ed il vice alla camera di commercio dell’organizzazione BRICS
Sameep Shastri [9] , hanno dichiarato che le rispettive monete stanno rendendo il dollaro
obsoleto, senza che vi sia alcun progetto di valuta estera ufficiale comune. Ciò non
sorprende se si prende atto del fatto che, da che il mondo è mondo, per far nascere degli
scambi commerciali vantaggiosi è più che sufficiente stipulare accordi (meglio
bilaterali piuttosto che multilaterali) tra gli interessati e negoziare alleanze commerciali

che riducano il rischio di eventuali turbolenze future. Come, tra l’altro, hanno da sempre
fatto i cinesi, i quali in barba ad ogni pratica “sinodale” e “conciliarista”, per dirla in
gergo vaticanense, hanno capito il vantaggio di privilegiare i rapporti bilaterali, più
diretti, sicuri e liberi rispetto alla macchinosa e stringente diplomazia multilaterale.

Tra l’altro, si vocifera, sebbene non vi siano ancora fonti ufficiali, di una c.d. Unit che i
BRICS vorrebbero creare quale unità monetaria internazionale utile alla compensazione
dei rapporti commerciali tra stati. C’è chi sostiene che sarà una vera e propria moneta,
chi invece parla di unità contabile. In ogni caso, essa sarebbe il risultato di una
ripartizione tra un quantitativo di oro che farebbe da garanzia monetaria fisica, in misura
del 40%, ed un 60% costituito da un paniere di valute miste.

Ecco che lo spettro dell’oro si ri-aggira per l’Eurasia, parafrasando Marx. Come spiegato
sopra, non v’è alcun bisogno di dover agganciare le monete nazionali ad un altro mezzo
ibrido che sfoci in una stabilità dei cambi vantaggiosa in apparenza per il commercio
internazionale, ma letale per le sovranità politiche degli stati. Talvolta il desiderio di
ritornare ad una stabilità finanziaria dei cambi e ad una valuta unica tra paesi viene
giustificata con la volontà di voler rimediare alla sregolata e parassitaria
finanziarizzazione dell’economia mondiale. La finanza ha, innegabilmente, preso il
sopravvento sull’economia reale e la globalizzazione finanziaria sta mettendo in
ginocchio interi paesi attraverso la speculazione sul denaro.

Assolutamente vero, ma un eventuale ritorno a valute fondate su risorse materiali o a
cambi fissi non può che peggiorare la situazione invece di risolverla. Tutte le più
grandi speculazioni, come quella di Soros degli anni ’90 contro Inghilterra ed
Italia, o anche quella del 1997-98 nel sud-est asiatico, furono causate proprio dalle
dinamiche messe in moto dal sistema di cambi fissi o, nel caso del sudest asiatico,
fortemente controllati [10] i quali provocarono grosse aspettative sui futuri tassi di cambio,
manna dal cielo per gli squali della finanza. Non basta certo una moneta in sé, anche se
fossimo in cambio flessibile, per combattere la finanziarizzazione dell’economia.
Semmai bisognerebbe intervenire, con la regolamentazione dell’economia finanziaria.

Va notato inoltre che l’oro, trattandosi di una risorsa scarsa in natura, non potrà mai
seguire l’eventuale crescita degli scambi internazionali, i quali al giorno d’oggi
sopravanzano drasticamente qualsivoglia quantitativo, per forza di cosa insufficiente, di
oro disponibile. Per non parlare del fatto che i paesi più auriferi sarebbero avvantaggiati
rispetto a chi ne ha in misura ridotta, ricreando gerarchie e rapporti di forza totalmente
contraddittori rispetto al multipolarismo cui si ispirano gli attori in gioco.

Infine, va precisato che la creazione di un sistema di pagamenti per agevolare i flussi
tramite quantum finance o reti interbancarie, come sembra racconti la teoria più
accreditata e plausibile, non ha nulla a che vedere con il SMI tra valute. In questo senso,
ben vengano progetti di agevolazione dei pagamenti tra i paesi interessati, così che le
persone possano avere un accesso più facile ai propri crediti bancari, nonché maggiore
fluidità contabile nei flussi finanziari. Ma si tratta appunto di tutt’altro tema. Se
multipolarismo sarà, non potrà che evitare gli errori dei tre sistemi finora dimostratisi
fallimentari: oro, dollaro ed euro.

Matteo Parigi
24/10/2024

Note:

[1] Kazan Declaration, pp.17-18.
[2] https://geopoliticaleconomy.com/2024/10/19/brics-russia-multi-currency-system-us-dollar/
https://www.bernama.com/en/news.php/?id=2356006
[3] https://tvbrics.com/en/news/egypt-aims-to-discuss-the-possibility-of-increasing-bilateral-trade-in-local-
currencies-with-brics-s/
https://sputnikglobe.com/20241023/erdogan-putin-may-discuss-prospects-of-using-national-currencies-
in-trade-1120651771.html

[4] https://megasalexandros.it/putin-dice-no-alla-moneta-unica-dei-brics-non-faremo-la-fine-delleuro/
http://en.kremlin.ru/events/president/news/72444
[5] https://www.money.it/nuova-moneta-per-i-brics-cosa-c-e-di-vero-dollaro-usa-nei-guai
[6] https://news.bitcoin.com/brics-beats-dollar-dependence-national-currency-settlements-exceed-usd-
payments/

[7] https://comedonchisciotte.org/perche-tornare-alloro-non-e-una-valida-alternativa-al-dollaro/

[8] https://tass.com/economy/1851647
[9] https://news.bitcoin.com/brics-countries-deem-us-dollar-less-important-in-global-trade-says-indian-
expert/

[10] M. Obstfeld, A.M. Taylor, International Monetary Relations: taking finance seriously, 2017, p.18.

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MEGA ALEXANDROS (ALIAS FABIO BONCIANI)

Economista
Modern Monetary Theory specialist
Author of ComeDonChishiotte