di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Un Draghi notevolmente invecchiato, smunto e con voce faticosa, si è presentato al vertice UE informale di Budapest per sostenere con ancora più forza il suo piano che prevede montagne di soldi da mettere sul tavolo per non far crollare l’Euro e di conseguenza l’Unione europea.

Draghi al meeting UE informale di Budapest intervistato dalla CNBC. (cliccate sulla foto per ascoltare)
Per Draghi ed i Poteri italiani inondare l’Europa, intesa come la sua parte elitaria, di fiumi di denaro era ed è una necessità imprescindibile e persino indipendente da chi avrebbe messo piede stabile alla Casa Bianca dopo le elezioni appena concluse. Solo che, con l’arrivo di Trump, oltre ad accelerare l’urgenza di procedere in tal senso, la parte di spesa da dedicare al rifornimento di armi ed alla costruzione di un esercito europeo, oggi diventa forse quella più cospicua in termini di impegno finanziario per la UE.
Questo perché, con Trump che quasi certamente procederà ad un ridimensionamento della NATO – privandola dei soldi e delle strutture belliche americane – l’Europa potrebbe trovarsi da sola in quelli che sono gli interventi nei campi di guerra in giro per il mondo utili a preservare, quand’unque ad incrementare, gli interessi delle proprie élite.
Non solo, con il Tycoon americano che già ha invitato Zelensky, per voce del suo consigliere, Bryan Lanza, sui canali della BBC, a prendere coscienza che “La Crimea è persa” e quindi “una visione realistica della pace”, ha senso solo all’interno di una consegna di questi territori a Putin – resta difficile immaginare che dal Cremlino, una volta incassato il bottino di guerra, si rendano disponibili a far diventare realtà i sogni predatori che la UE già pregustava su quegli stessi “ricchi” territori, una volta cacciati i russi.
Tutt’al più si potrà puntare alle briciole che l’amministrazione Trump (se vorrà), potrà concedere a chi dentro il panorama europeo riscuote più appeal sul presidente americano. Per Giorgia Meloni ed il suo governo, fino ad oggi totalmente allineati alle politiche di Biden e senza tentennamenti in prima linea per tenere vivo il fronte di guerra in Ucraina, le speranze sono tutte riposte nella capacità di influire su tale decisione nei pensieri di Trump da parte di Elon Musk, nel cuore del quale la nostra premier è convinta di aver fatto breccia. Almeno come amica e confidente. In questo spera oggi fortemente il nostro deep state da sempre allineato ai dem-USA.
Che con il cambio alla guida negli Stati Uniti, la situazione per Europa ed Euro si complichi più di quanto lo fosse già, è ben chiaro nella mente pragmatica di Mario Draghi. Un America che torna a produrre internamente ed imporre dazi sulle importazioni farà cadere definitivamente il modello mercantilista europeo, su cui si basa il costante mantenimento della rendita di pochi a discapito del lavoro e della domanda interna. Le sue preoccupazioni non sono certo riverse verso i popoli, ormai adagiati nella povertà sempre più assoluta, ma sul rischio che corre il progetto elitario di stampo massonico, ormai in atto da tre decadi nel continente (in Italia, spinto con ancor più forza e determinazione), che oltre all’accumulo infinito di ricchezza in mano a pochi, vede come meta finale il ritorno ad uno status di controllo totale del Signore sulle vite dei propri sudditi.
E’ così che Mario Draghi nella terra del dissidente Orban, torna a promuovere con forza il proprio piano per la competitività europea. Lo fa questa volta, presentandolo come una necessità ancora più impellente, alla luce della vittoria di Trump, che lui vede giustamente come una opportunità per arrivare a convincere i falchi tedeschi a muoversi in tal senso.
Sì, perché per dare il via ai desideri di Mr Britannia, che mirano alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa (USE), con tanto di debito ed esercito comune, pare proprio che manchi soltanto il lasciapassare di Berlino, dopo aver convinto quella parte di poteri tedeschi da sempre restii ad unire le casse dei singoli stati.
E noi italiani, sappiamo bene quanto sia forte la determinazione di SuperMario quando si mette (o gli mettono, ndr) in testa qualcosa: le ormai note vicende che lo videro primo protagonista nel 92′, come curatore dell’inizio della svendita totale del nostro paese e nel concedere a terzi in appalto la nostra sovranità, sono a tutt’oggi le principali cause del disastro economico in cui versa il nostro paese.
I metodi usati sono sempre gli stessi e quanto sta accadendo in Germania in questi giorni ne sono la conferma. Il profondo rosso in cui versa oggi l’economia tedesca – causato appunto dalle stesse politiche di austerity con le quali i tedeschi si sono segati il ramo dell’albero su cui erano seduti, opportunamente accelerato dai noti eventi programmati, quali la pandemia e l’impennata dei prezzi frutto della speculazione su gas e petrolio conseguente all’intervento militare in Ucraina – non è certo un evento casuale.
Privare una economia di stampo industriale come loro, del gas russo a basso costo, facendo saltare per aria persino i gasdotti di approvvigionamento e ponendola distante dalle sottane di Putin, è chiaramente leggibile come una precisa volontà di distruggere il suo tessuto economico e sociale.
Ma, la forte azione di convincimento non pare certo essere finita. Come di consueto il lavoro in cui Draghi è maestro, per essere completo e fornire i risultati sperati, dopo l’economia prevede di operare a livello finanziario. Ed ecco che, notizia di pochi giorni fa, pare proprio che da Francoforte abbiano intenzione di non fare più tutto quello che è necessario (“whatever it takes”), per sostenere i titoli del debito pubblico tedesco.
Il bund tedesco, da sempre presentato a noi italiani come l’oro dei titoli di stato, ha visto il proprio rendimento balzare per la prima volta dall’introduzione dell’euro oltre quello dell’IRS (acronimo di Interest Rate Swap), una misura delle attività prive di rischio. L’IRS rappresenta il tasso swap usato da imprese e istituzioni finanziarie per proteggersi dalle fluttuazioni dei tassi di interesse.
Ora, noi che conosciamo certi meccanismi e che non ci facciamo più portare per mano dalle frodi con cui cercano di farci bere l’acqua per vino, sappiamo bene che questo evento storico sui tassi tedeschi può avvenire soltanto per espressa volontà e/o indifferenza da parte della Banca Centrale Europea (Bce).
Nel contempo, mentre oltreoceano si consumava la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa, a Berlino la parte opposta ai falchi, provvedeva a sgretolare definitivamente l’alleanza di governo tedesca. Facendo incombere sul paese la prospettiva di elezioni anticipate. Non certo una consuetudine per la Germania, in quanto è successo solo due volte nella storia della repubblica tedesca.
Il primo ministro Olaf Scholz provvedeva a licenziare l’austero ministro delle Finanze Christian Lindner, accusandolo di aver tradito la fiducia sostenendo pubblicamente una politica economica radicalmente diversa. Secondo Scholz, ciò includeva tagli fiscali per miliardi di dollari per gli individui più ricchi e tagli alle pensioni per tutti i pensionati. “Non è una cosa decente”, ha osservato il Cancelliere tedesco.
Insomma, per opera dei medesimi poteri che guidano da sempre l’Europa, Berlino oggi si trova ad affrontare gli stessi venti contrari dei mercati e l’emergere di un rischio paese con i quali in passato sono stati ricondotti alla ragione paesi quali Grecia, Italia e Spagna, e quest’anno persino la Francia.
E’ chiaro che con una Germania costretta al deficit e con la prospettiva che la forte tensione sui bund magistralmente gestita in tal senso da Francoforte, possa riversarsi sul fragile sistema bancario tedesco – oggi sempre più oggetto di scalate da parte di altri Istituti europei in accordo con Bruxelles e Francoforte – è decisamente più vulnerabile e facilmente piegabile verso la direzione desiderata.
Credo che il quadro sia abbastanza chiaro, come del resto non ci sono dubbi su quello che vuole Mario Draghi e chi lo comanda. Resta solo da capire se gli Stati Uniti d’Europa è un qualcosa che può interessare o meno anche a chi oltreoceano oggi, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, comanda realmente.
di Megas Alexandros
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