di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Sono stati proprio gli Stati Uniti a porre il veto per una bocciatura definitiva alla proposta di introdurre misure fiscali a livello globale che colpiscano i patrimoni dei super-ricchi, avanzata nei giorni scorsi in sede di riunione dei ministri del G20.
Il sottosegretario al Tesoro Janet Yellen, è stata chiara: «è preferibile che ciascun Paese si occupi del proprio sistema fiscale» – adducendo come scusa le difficoltà derivanti dal realizzare un coordinamento internazionale tra più paesi per un’iniziativa di tal genere.
Manco a dirlo, su posizioni analoghe è sembrata posizionarsi anche l’UE, con il commissario Paolo Gentiloni che ha dichiarato in fotocopia: «si tratta di una competenza dei singoli Paesi, difficile da superare con schemi globali».
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul disinteresse dei poteri globalisti riguardo a come vengono distribuiti i quattrini dentro i confini nazionali, questa è l’ennesima prova che, a Soros e co. poco importa di decidere quanto debba essere larga la scala sociale nei vari paesi.
E’ di tutta evidenza che, in termini di redistribuzione del risparmio ed assegnazione della spesa pubblica, i poteri forti in loco, sono lasciati totalmente liberi di decidere la misura delle sofferenze che i loro popoli debbano affrontare.
La totale diversità nel peso della pressione fiscale applicata in paesi appartenenti alle stesse aree di influenza del così detto mondo occidentale, come del resto le opposte posizioni tenute dai singoli governi, su misure specifiche ma fondamentali al tempo stesso per la vita di famiglie ed imprese, come la trasferibilità sui crediti fiscali, sono lì a dimostrare quanto appena descritto.
Viene così stroncata la richiesta formulata dal Brasile ed appoggiata da diversi Stati del Sud globale, ma anche da Francia e Spagna, di una tassa globale sui patrimoni degli uomini più ricchi della Terra. Una richiesta che, se analizzata per quello che realmente rappresenta, va immediatamente ricondotta a quella che è la costante necessità di propaganda per i politici di quei paesi che l’hanno avanzata. Essendo ben consci che lasciare la decisione ai singoli Stati equivale nei fatti ad affossare la misura, visto che se non avrà copertura globale ogni tassazione sarà facilmente eludibile.
Insomma, il solito teatrino della politica che a livello locale ha come unico ed esclusivo scopo, quello di mantenere intatto lo status quo, che vede le varie élite perennemente operare in termini di saccheggio dei popoli e delle nazioni.
Il capo-banda dei politici con la faccia da salvare di fronte ai loro popoli, sempre più relegati nella povertà, non poteva che essere Luiz Inácio Lula da Silva. Il presidente brasiliano – un socialista i cui ideali si sono sempre più annacquati con il passare del tempo a capo delle istituzioni del suo paese – la settimana scorsa, in occasione del lancio di un’iniziativa per combattere la fame nel mondo, aveva dichiarato che «alcuni individui controllano più risorse di interi Paesi» e che «al vertice della piramide i sistemi fiscali non sono più progressivi, ma regressivi».
Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e per chi ha un po’ di dimestichezza con la materia e soprattutto con i numeri, è estremamente facile ricondurre alla propaganda la proposta che il ministro brasiliano (che ha finora trovato il sostegno di Francia, Spagna, Sudafrica, Colombia e Unione Africana), ha ufficializzato in occasione del vertice del G20 tra i ministri dell’economia tenutosi a Rio de Janeiro tra giovedì 25 e venerdì 26 luglio.
Una tassa globale sui patrimoni degli ultra-miliardari fissata al 2% – con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze economiche e finanziare servizi pubblici essenziali farebbe guadagnare a livello globale da circa 3mila individui tra i 200 miliardi di dollari (184 miliardi di euro) e i 250 miliardi di dollari (230 miliardi di euro) all’anno – rappresenta in tutto e per tutto un’elemosina in termini di denari, se suddiviso il gettito per ogni singolo stato.
Ma la farsa non si ferma all’elemosina, di fatto rappresentata dai 250 miliardi di dollari che ci si prefigge di raccogliere tassando dei miliardari, che secondo un rapporto commissionato dal Brasile all’economista francese Gabriel Zucman, pagano attualmente in tasse appena lo 0,3% della loro ricchezza.
Il punto centrale è sempre lo stesso, ossia la perenne narrativa con la quale si vuol mantenere in piedi la medesima novella che vede gli Stati forzatamente obbligati a reperire dal settore privato le risorse finanziarie per ottemperare alla spesa pubblica.
Gli Stati che creano la moneta in regime di monopolio e poi la distribuiscono al settore privato, verrebbero costretti in questo caso alla “farsa” di chiederla indietro tassando coloro i quali, i governi stessi, in precedenza ne hanno donata in abbondanza. Tutto questo mentre se la potrebbero creare da soli dal nulla in quantità più che sufficiente per togliere povertà e stabilizzare i loro sistemi economici.
A livello tecnico non occorre minimamente tassare i ricchi per far star bene i poveri.
La Modern Monetary Theory di Warren Mosler, è talmente chiara in tal senso che ci toglie letteralmente da quella che sarebbe la difficoltà estrema a livello politico di intraprendere una azione “temeraria” a livello fiscale – con scarsissime possibilità di successo – proprio perché andrebbe a colpire coloro che poi sono gli stessi che ci comandano.
I governi sono in grado attraverso la spesa in deficit di creare occupazione e sostenere ogni tipo di intervento sociale per eliminare povertà e sofferenza nella maggioranza, senza dover ricorrere per nessuna ragione al mondo, ai denari dei ricchi.
Purtroppo, questo non viene fatto per la sola ed unica ragione che chi ci comanda, ha insaziabili desideri di accumulo del profitto e di potere sulle persone, e questo comporta il far vivere la maggioranza nella scarsità (soprattutto di denaro), per condurla ad uno status di schiavitù sempre più reale e permanente.
Tutto questo, come già spiegato all’inizio, è direttamente riconducibile all’azione dei poteri profondi che operano e decidono a livello locale. Sono loro che di fatto decidono la misura delle condizioni di vita in cui dobbiamo vivere noi e le nostre famiglie.
Dalla misura del nostro stipendio a quanto ci è consentito risparmiare, dall’ottenere un prestito ad una sentenza giusta dentro un tribunale, fino a quanto dobbiamo essere curati ed istruiti, sono tutti elementi fondamentali delle nostre vite che sono decisi dal sistema che controlla ogni nostra istituzione.
L’aver appaltato a terzi la gestione di tutte quelle sovranità che la nostra Costituzione attribuisce al popolo italiano, è la causa principale delle pessime condizioni in cui versa il paese.
Una tassazione totale che sul lavoro degli italiani sfiora il 70% e nel contempo acconsentire al trasferimento del ricavato alla grande rendita elitaria parassita nel paese, è un atto eversivo in piena regola che andrebbe punito in modo esemplare dentro i tribunali, nei confronti dei nostri rappresentanti istituzionali che lo consentono.
A sostenere la narrativa non poteva certo mancare il nostro governo presieduto da Lady Aspen, Giorgia Meloni, che a distanza di un anno ci riprova a tassare lusso, energia e banche.
Guai a pronunciare la parola tassa, è l’ordine diffuso a Palazzo Chigi. Contributo di solidarietà è l’esercizio lessicale con il quale il nostro premier punterebbe a normalizzare il prelievo su “chi oggi ha di più e quindi deve dare qualcosa a chi ha di meno”, come ha riferito ai suoi.
A breve sapremo se il nuovo blitz d’Agosto della Meloni contro coloro ai quali i nostri governi (compreso l’attuale, ndr), consentono da sempre profitti colossali, si materializzerà nell’ennesimo atto di propaganda acchiappa consenso.
di Megas Alexandros
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