di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Prendo spunto dalla notizia apparsa nei giorni scorsi sui principali mezzi di informazione nazionale – riguardo al reintegro sancito dai giudici del Tribunale civile di Genova, dell’ormai famoso vigile di Sanremo che timbrava il badge in mutande e poi se ne tornava a casa (secondo quanto afferma la Procura di Imperia, ndr) [1] – per porre l’attenzione su come oggi nel nostro paese la Giustizia non è assolutamente uguale per tutti. [2]
Anzi, se scendiamo nel dettaglio di storie giudiziarie comuni come questa, non solo siamo costretti ad evidenziare la totale disuguaglianza rispetto a casi simili tra i vari tribunali italiani, ma addirittura si arriva a decisioni che si fanno letteralmente spregio del principio costituzionale sulla proporzionalità della pena rispetto al fatto commesso.
Tale evidente diversità nella gestione della Giustizia (ricordo che le decisioni dei giudici condizionano in modo definitivo la vita di chi è sottoposto al loro giudizio, ndr), non può essere certamente ricondotta al caso oppure alla mancanza di professionalità da parte di chi la amministra. E quindi, il pensiero, direi più che fondato, che il terzo potere dello Stato (quello giurisdizionale) sia sotto l’aureola di un Sistema, che opera a convenienza, è una probabilità più che concreta.
Del resto, quanto appena affermato, non è figlio della fantasia o del risentimento derivante dall’esperienza più che sfortunata di chi vi scrive, ma è un fatto conclamato dai recenti scandali che hanno travolto proprio il mondo della magistratura, le cui nomine e persino le decisioni processuali venivano dettate dal cd Sistema-Palamara. Una chiara e trasversale commistione di poteri, che vedeva politici e magistrati, capitanati appunto dal giudice Luca Palamara, uniti tra loro nel gestire a loro piacimento la Giustizia.
Tutto questo, dobbiamo esserne ben consapevoli, porta inevitabilmente i cittadini a non avere più fiducia nelle nostre istituzioni democratiche e mina in modo irreparabile le basi che dovrebbero sostenere il nostro Stato di diritto.
Mio malgrado sono stato coinvolto in un caso giudiziario simile al “furbetto del cartellino” di Sanremo, ma di quantificazione giuridica e morale assolutamente non assimilabile, rispetto alle evidenti azioni poste in essere dal vigile ligure, puntualmente attestate dalla Guardia di Finanza e poi assolto sia dal giudice penale che da quello civile, decretandone il reintegro nel proprio posto di lavoro.
Sfruttando il tema modaiolo del momento dei cd “furbetti del cartellino”, quale appunto era il vigile ligure secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, nel 2014, sono stato licenziato insieme al mio direttore di filiale, dalla banca in cui prestavo opera lavorativa da circa 23 anni.
Per farla breve e ripercorrendo le carte processuali, la banca mi licenziava perché una mattina, ho acconsentito di timbrare il badge del mio direttore, mentre lui si trovava nel bar a pochi metri dalla filiale, intento a discutere di questioni di lavoro con un cliente. Stante il fatto che sarebbe rientrato a momenti in ufficio, come poi è avvenuto circa 10 minuti dopo alla presenza degli ispettori e da essi verbalizzato.
Tutto qua! e niente di più!
Quindi, come vedete, da una parte abbiamo un dipendente, in questo caso il vigile sanremese accusato, di truffa nei confronti del Comune di San Remo, poiché attestava la sua presenza sul posto di lavoro mentre di fatto non lo era e dall’altra due dipendenti (il sottoscritto ed il mio direttore), che invece, verbali alla mano, sul posto di lavoro eravamo ben presenti (ricordo che per contratto, un funzionario di banca, è considerato operativo anche quando è fuori dal suo ufficio, purché affaccendato in questioni di lavoro). Non solo, il vigile è stato anche coinvolto in un’inchiesta a carattere penale, condotta dalla Guardia di Finanza (alla quale in modo corretto, il Comune di San Remo si rivolse a suo tempo). Una attività di indagine che, nel 2015, portò a un blitz nel comune costiero ligure: durante questa operazione, erano state notificate 43 misure cautelari, inclusi 34 arresti domiciliari e otto obblighi di firma nei confronti di altrettanti dipendenti del Comune sorpresi fuori dall’ufficio durante l’orario di lavoro.
Al contrario la Procura di Firenze, come logico che fosse, ha ritenuto totalmente infondate e ridicole le esposizioni postume (e prive di ogni elemento di prova fattuale) della banca riguardo al reato di truffa nei nostri confronti.
La cosa, già messa così, pur ricondotta alla medesima azione (ossia quella di timbrare il badge per far risultare la presenza), dovete convenire con me che è già altamente sproporzionata nelle sue dimensioni. Una proporzione che un giudice è per legge e per sua funzione tenuto a valutare nell’analizzare i fatti commessi.
Ed invece, i giudici del Tribunale di Firenze, senza fare nessuna distinzione fra chi è realmente dimostrato assenteista e chi invece mai si è allontanato dal suo posto di lavoro, hanno confermato in più gradi di giudizio il mio licenziamento.
Ma la sproporzione di tutta la vicenda e le maglie della diversità in cui si muove il Tribunale di Firenze rispetto a quello di Genova, non sono finite qua!
Ad onore dei fatti e ripeto delle carte processuali, la banca non mi licenzia immediatamente, come di contro opera nei confronti del direttore, mi tiene a lavorare per circa un altro mese, sottoponendomi ad una serie di pressioni incredibili, spingendosi fino al punto di minacciare il mio licenziamento, se non avessi firmato un documento, utile per loro, per aggravare la posizione del direttore di fronte al giudice.
Tali pressioni e minacce – poi portate a termine di fronte al mio rifiuto di firmare tale documento contrario alla verità dei fatti – messe in atto anche da colleghi (facilmente identificabili come portatori del messaggio per conto della direzione generale della banca in quanto alle risultanze ottenute dall’indagine della Procura di Firenze) e da me opportunamente documentate anche con registrazioni vocali, mi hanno portato a denunciare il tutto presso la Procura.
Dopo circa 4 anni che nessuno sapeva che fine avesse fatto questo mio esposto, finalmente il magistrato assegnatario della denuncia, lo ha ritrovato e si è messo ad indagare. Nel frattempo il processo civile nei vari gradi, naturalmente, era già concluso ed io in quelle sedi non avevo potuto utilizzare a mio vantaggio il rinvio a giudizio che poi la Procura di Firenze, ha emesso nei confronti di quei dirigenti bancari che avevano comminato il mio licenziamento (a quel punto chiaramente ritorsivo come evidenziato dalla Procura) e per di più all’azione violenta nei miei confronti.
Quindi, alle soglie della prescrizione del reato penale per il quale i dirigenti della banca erano stati posti alla sbarra (ormai erano già passati quasi 6 anni ed il reato si prescriveva in 7 anni e mezzo), si apre un processo che si sarebbe dovuto celebrare in tutta fretta, proprio per permettere alla Giustizia di essere onorata in tutti i suoi gradi di giudizio, stante la tagliola della prescrizione che contrastava, in modo evidente, con il mio diritto ad ottenere giustizia.
Il processo dura quasi un anno e mezzo e la sentenza arriva a 90 giorni dalla prescrizione del reato. Il giudice, all’interno di un colpo di scena finale degno dei film di Alfred Hitchcock – che vi spiegherò a breve – decide inaspettatamente di assolvere gli imputati perché il fatto non sussiste. Guarda caso, si prende 90 giorni di tempo per consegnare le motivazioni della sentenza! e secondo voi quando le ha consegnate?
L’ottantanovesimo giorno, naturalmente! ovvero il giorno prima che il reato fosse prescritto, in modo da impedire qualsiasi appello che potesse mettere in discussione la sua sentenza di fatto più che discutibile.
Il processo, come dicevo, durato un anno e mezzo, ha visto i molti testimoni confermare in pieno tutte le molteplici pressioni e minacce ricevute, sia prima che dopo il mio licenziamento. Anche le registrazioni audio già menzionate, con le voci di uno dei due imputati e quella di una persona informata sui fatti, sono state riconosciute valide e confermato il testo durante il dibattimento. Le stesse, è sufficiente ascoltarle o semplicemente leggerne la trascrizione, per fugare ogni dubbio su cosa la banca pretendeva dal sottoscritto.
Non solo, quello che interessava ai dirigenti della banca che hanno architettato il mio licenziamento e volevano ad ogni costo che io fornissi loro, è scritto addirittura nel verbale del consiglio di amministrazione in cui viene decretato il licenziamento stesso.
“La risposta di Bonciani non ci sostiene nel percorso con Maioriello (il direttore, ndr)” – si legge chiaramente nel verbale contenuto nei libri sociali dell’Istituto – ovvero, se Bonciani continua a ripetere come sono andati i fatti, ossia la Verità accertata dagli ispettori, i legali della banca, a ragione, ritenevano che la stessa non fosse ben messa nel percorso di licenziamento del direttore di fronte al Giudice (vero obbiettivo della dirigenza, ndr).
Ecco la pistola fumante, il movente per cui poi alcuni dirigenti della banca si sono spesi in ogni modo per farmi cambiare versione e sottoscriverne una più confacente al loro piano criminale.
Certo, un piano criminale, perché la dirigenza della banca non si attiene hai fatti! né, tanto più, come ha fatto il Comune di Sanremo – qualora si fosse ritenuta truffata dal mio agire e quello del direttore di filiale – non si è rivolta alla Guardia di Finanza per operare con le opportune verifiche attraverso pedinamenti e videoregistrazioni, così da avere tutte le prove necessarie per mostrare ad un giudice, invece di chiederle a me a posteriori, brandendo la minaccia del licenziamento.
Non lo hanno fatto per il semplice motivo che loro sapevano benissimo che pedinandoci non avrebbero trovato niente, poiché io ed il mio collega eravamo sempre sul posto di lavoro e la dirigenza della banca ne era perfettamente a conoscenza, avendone tutti gli strumenti per accertarlo. Poiché dovete sapere che dentro gli istituti di credito ci sono mezzi migliori del badge per accertarsi della presenza o meno sul posto di lavoro dei dipendenti. Non ultimo le username e le password personali di accesso ai sistemi informativi, che identificano minuto per minuto, ogni transazione che i dipendenti stessi effettuano sul terminale fisso in uso esclusivo nella propria postazione di lavoro.
Volete sapere come è nata la decisione da parte del giudice penale di assolvere i dirigenti della banca nonostante le prove conclamate?
Bene, all’ultima udienza, dopo quasi un anno e mezzo di dibattimento, si è presentato un Pubblico Ministero (PM), mai visto prima, in sostituzione del PM titolare del fascicolo. Un soggetto non di ruolo – facente parte della categoria dei così detti Got* – che pur non avendo preso parte alla importante fase di indagine né partecipato a nessuna udienza del processo, come se nulla fosse, ha deciso di ribaltare le risultanze di tutto il lavoro fatto dalla Procura (indagini, sequestri, interrogatori, ecc.) e chiedere l’assoluzione degli imputati.
Il Giudice, anch’esso un Got, in modo del tutto inaspettato e con grandissima sorpresa anche da parte del mio avvocato (più che certo delle risultanze processuali), ha decretato l’assoluzione degli imputati stessi.
Se il vigile sanremese licenziato nel 2016 ha ottenuto 250 mila euro, quanto avrebbe dovuto sborsare la banca dove lavoravo, in caso di un mio reintegro, tra stipendi mancati e contributi, visto che il mio licenziamento era del 2014 ed il mio compenso all’epoca era di 4.800 euro lordi mensili?
Stiamo parlando di cifre importanti, facilmente calcolabili, che la banca avrebbe dovuto sborsare. Oltre a questo il danno di immagine per l’Istituto, che a quel punto sarebbe stato coinvolto in un licenziamento ritorsivo e le gravi conseguenze che si sarebbero abbattute sui due dirigenti imputati nel processo. Di fronte a tutto questo è del tutto immaginabile che si possano attivare a pieno ritmo le leve del sistema di Potere di cui le lobbie bancarie è noto fanno parte.
Nella pratica i giudici e i procuratori onorari, detti Got (vedi la definizione in fondo*), sono avvocati che di fatto non esercitano la loro professione e che per vari motivi – il primo dei quali, certamente quello economico – si mettono a disposizione del sistema giudiziario per uno stipendio molto inferiore rispetto a quello di un magistrato di ruolo e quindi, stante la loro posizione precaria e temporanea, nonché un profilo di esperienza presumibilmente minore, le probabilità di essere esposti maggiormente al sistema e di fornire meno garanzie alla giustizia, sono molto più alte.
Quindi arriviamo all’assurdo che per ottemperare allo smaltimento della mole di lavoro presente nei tribunali italiani, le indagini vengono svolte dai magistrati ordinari titolari e poi la fase processuale, quella più importante per le sorti di un cittadino, viene gestita invece dal primo assunto che si trova sulla strada di quello che è il cronico problema occupazionale che affligge il nostro paese.
Questa, purtroppo, è la realtà del nostro sistema giudiziario: una realtà di cui nessuno può rendersi conto finché, suo malgrado, non finisce dentro questo tritacarne gestito da un Sistema a chiare tinte massoniche, al quale molti operatori di giustizia finiscono per appartenere e rispondere, avvocati compresi.
Concludendo, mi preme rendere ben evidenti le proporzioni, o meglio ancora, la netta sproporzionalità che si denota tra le due vicende, all’interno del nostro sistema di Giustizia: il vigile sanremese che secondo le risultanze della Guardia di Finanza non andava a lavorare si ritrova reintegrato e con 250 mila euro in tasca per decisione di un giudice di stanza nel tribunale di Genova; io ed il mio collega invece, che eravamo puntualmente presenti ogni giorno sul nostro posto di lavoro, ci troviamo da quasi 10 anni licenziati con tutte le conseguenze economiche del caso, per la decisione del Tribunale di Firenze.
Come se Genova e Firenze fossero due tribunali che operano in due paesi diversi ed addirittura, stante, come del tutto evidente, le netta sproporzionalità delle due sentenze, pare quasi che i due enti giudicanti, rispondano a norme e codici provenienti da regimi diversi, distanti da quelli che sono i principi democratici e di giustizia su cui si fonda uno stato di diritto moderno.
Dopo di che, se vogliamo andare oltre sul modo del tutto arbitrario di come viene applicato il concetto di proporzionalità della pena nei tribunali italiani – seppur di fronte a reati ancora più gravi, ma rimanendo sempre nel mondo della potente lobbie bancaria – potremmo anche confrontare il mio agire punito con la pena massima (il licenziamento è la pena massima per un lavoratore!), con l’assoluzione completa decretata dal Tribunale di Milano dei managers del Monte di Paschi di Siena, che si sono letteralmente fumati una banca di dimensioni internazionali, all’interno di quello che rappresenta per il nostro paese un crack di dimensioni storiche.
di Megas Alexandros
* GOT è l’acronimo di Giudice Onorario di Tribunale, trattasi di un magistrato onorario che svolge funzioni di giudice o di pubblico ministero ( in questo caso si chiama VPO- Vice Procuratore Onorario ) anche senza essere, come si suol dire, “di carriera”, cioè senza aver vinto l’agognato concorso in magistratura.
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