Italiani sempre più poveri e schiavi! L’allarme arriva da Oxfam

Il rapporto aggiornato di Oxfam Italia, diffuso come ogni anno in occasione del World economic forum di Davos, fotografa la situazione delle disuguaglianze economiche in Italia. La ricchezza del paese appartiene sempre più a pochi eletti e l'occupazione, seppur in aumento, è sempre più precaria con gli italiani sempre più in povertà.

23 Gennaio 2025 | Attualità, Economia, News, Politica | 0 commenti

di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

“Povertà ingiusta e ricchezza immeritata”

Questo è il titolo del nuovo rapporto, presentato da Oxfam Italia, in occasione dell’apertura del meeting annuale del World Economic Forum che si svolge a Davos dal 20 al 24 gennaio 2025, che con quattro parole sintetizza alla perfezione quello che è il dramma che il nostro paese ormai vive da decenni, frutto di una disuguaglianza sociale che si allarga sempre di più di giorno in giorno.

Aumentare il divario tra i poveri ingiustamente poveri ed i ricchi immeritatamente ricchi, è una equazione che ormai fa parte dell’operato di ogni nostro governo che dagli anni ’90 si è insediato a Palazzo Chigi. E nonostante i falsi proclami, sostenuti dalla stampa di regime, anche quello attuale presieduto da Giorgia Meloni, sta andando nella stessa identica direzione.

Il rapporto “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata” – usando le stesse parole che troviamo sul sito di Oxfam Italia – evidenzia come la crescita della concentrazione della ricchezza non sia in molti casi frutto di merito, ma è ascrivibile a un sistema economico “estrattivo” e come l’acuirsi dei divari economici e sociali sia il risultato di scelte politiche, come nel caso italiano, che vanno caratterizzandosi più per il riconoscimento e la premialità di contesti ed individui che sono già avvantaggiati, che per una lotta determinata contro meccanismi iniqui ed inefficienti che accentuano le divergenze nelle traiettorie di benessere dei cittadini.

Quest passaggio estremamente chiaro, sarebbe sufficiente per non andare oltre e confermare quello che da sempre non mi stanco di evidenziare nei miei articoli. E’ chiaro che il rapporto punta il dito direttamente sul nostro governo e seppur non dicendolo chiaramente, mette in mostra un operato da parte dei nostri esecutivi a carattere sistemico, diretto al mantenimento della rendita di pochi e incurante dello stato di salute economico della maggioranza degli italiani.

Di fronte a tali evidenze, definire a rischio la nostra democrazia non può essere certamente considerato un pensiero complottista, bensì una realtà che si sta concretizzando alla velocità della luce. Del resto, che i nostri governi da tempo operino in modo eversivo in violazione dei principi della nostra Carta Costituzionale, è provato dalle molte decisioni di natura politica, prese in tema di moneta e autolimitazione alla sua creazione da parte dello Stato.

E’ proprio l’autolimitazione che i governi si sono imposti in fatto di spesa in deficit per tenersi l’euro, una moneta che serve a garantire i risparmi dei più ricchi, il principale atto politico eversivo che toglie agli italiani la possibilità di un lavoro ed uno stipendio decente per mantenere se stessi e le loro famiglie.

Sì, è proprio il tema lavoro il punto più importante da affrontare se vogliamo veramente iniziare ad invertire il trend ormai consolidato, per arrivare ad un riequilibrio della ricchezza nel paese e tornare a quel benessere diffuso di un trentennio fa.

“L’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 non ha comportato la riduzione dell’incidenza della povertà assoluta”, anche a causa dell’inflazione, ha commentato Mikhail Maslennikov, Policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. Nel 2024 pesa non solo il “rallentamento dell’economia nazionale”, ma anche le misure contro la povertà del governo Meloni. E’ chiaro che – nonostante i proclami sulla bontà del suo governo, che la nostra premier ci lancia quotidianamente con la sua impareggiabile “verve” – aumentare il numero degli occupati rendendo tutti più precari e più poveri, non è certo la soluzione ideale.

Con il nuovo assegno di inclusione, le famiglie beneficiarie sono scese del 37,6% rispetto al Reddito di cittadinanza. Il Supporto formazione e lavoro, invece, sempre secondo Maslennikov è servito più che altro a dare ai suoi beneficiari “una lenta transizione dall’occupabilità alla disperazione”.

Chi vi scrive, lo sapete bene non fa politica. Lungi da me difendere il reddito di cittadinanza, introdotto dagli oppositori del governo Meloni. Loro stessi, quando erano al governo per ben due volte con il loro leader Giuseppe Conte, non si sono discostati dall’ormai consolidato sistema a protezione degli esclusivi interessi della nostra élite, come detto a discapito di chi lavora. Ma i dati di Oxfam, ci mostrano che l’attuale governo, togliendo il reddito di cittadinanza ha di fatto peggiorato la situazione.

Tant’è che Oxfam nel suo rapporto, ha dato alcune raccomandazioni al governo Meloni per combattere la povertà nel 2025. Innanzitutto, “ripensare profondamente le misure di contrasto a povertà ed esclusione lavorativa” creando un “reddito minimo” per “chiunque si trovi in difficoltà”. Oltre a questo l’introduzione del salario minimo, una tassa sui grandi patrimoni e sulle successioni, ma anche delle “politiche industriali che favoriscano la buona occupazione”. E non ultima, l’abrogazione dell’Autonomia differenziata, dato che i cittadini “già oggi scontano gravi divari nella disponibilità e nella fruizione di servizi pubblici, marcatamente differenziati a seconda del territorio di residenza”

Tutte misure di politica fiscale giuste, a partire dal salario minimo che la stessa Meloni ha bocciato in modo categorico e direi con pessima lungimiranza. Dal momento che, come ci informa l’Istat, i lavoratori che percepiscono meno di 9 euro l’ora sono in aumento nel paese. Ed il fatto che un’Italia, intesa come le nostre istituzioni di governo, sempre pronta ad allinearsi al carro europeo, sia uno dei pochi paesi europei a non avere un salario minimo stabilito per legge, ci deve far riflettere su quanto ci raccontano i nostri politici nella loro azione di propaganda.

Certo, stabilire un salario minimo per legge in misura adeguata alla realtà economica che un lavoratore deve affrontare, è essenziale ma non basta. Il governo monopolista della moneta è l’unico soggetto dentro il sistema economico che può acquisire tutta la forza lavoro che desidera e quindi raggiungere la piena occupazione dentro il paese. Lo può fare semplicemente mettendo a disposizione tutta le spesa in deficit necessaria per assumere chiunque voglia lavorare ad un salario, come detto, prestabilito per legge.

Nonostante che ancora molti economisti si rifiutino di accettarlo, l’origine della disoccupazione è ormai accertato. Per questo dobbiamo dire grazie a Warren Mosler, che di fatto a posto fine all’eterno dibattito che dura da oltre mezzo secolo, tra gli economisti classici e i Keynesiani. Oggi tenuto ancora in vita dai loro successori: i neo-classici e i post-keynesiani.

Per i primi l’origine della disoccupazione era dovuta ad un monopolista che limitava l’offerta, mentre per Keynes il problema stava nel sistema monetario, ovvero nella mancanza di offerta di moneta (a quel tempo limitata dalla presenza di un Gold Standard, almeno sulla carta, ndr). Entrambi avevano ragione, solo che non erano allora e non sono riusciti oggi a congiungere i loro pensieri. Cosa che invece ha fatto il padre fondatore della Modern Monetary Theory (MMT), definendo la moneta come un monopolio pubblico.

E’ chiaro, a questo punto, come la parola “monopolio” e “moneta” riunite nel potere sovrano all’interno dell’istituzione statale, sono la chiave di volta per ricondurre l’origine della disoccupazione ad una spesa in deficit troppo bassa da parte dello Stato.

E’ il governo e solo il governo, quindi, ad avere in mano lo strumento per rispettare i dettami della nostra Costituzione in tema di lavoro, per fornire quindi una occupazione a tutti coloro che vogliono lavorare.

Vi lascio con alcuni dati estratti dal report di Oxfam Italia. Non per rovinarvi la giornata, ma per renderci tutti conto di quanto sia sceso in basso il livello di giustizia sociale nel paese a causa o per merito dell’operato dei nostri governi. La presa di coscienza di questi dati e soprattutto la consapevolezza di chi è il vero responsabile a livello istituzionale delle nostre sofferenze, ci deve spingere a forzare la mano contro chi ci governa per intraprendere le misure più opportune volte ad un reale cambiamento.

Guardando solo al 10% delle famiglie più ricche, queste hanno una ricchezza pari più di otto volte quella della metà più povera del Paese. Restringendo ancora di più, il 5% più ricco possiede quasi la metà (il 47,7%) della ricchezza nazionale, ben più di quanto abbia complessivamente il 90% più povero del Paese.

Pensando ancora al decimo più ricco d’Italia, nel 2010 questa fetta di popolazione aveva il 52,5% della ricchezza nazionale. A metà 2024 è arrivata al 59,7%, dopo un picco del 59,9% a fine 2023. Dall’altra parte c’è la metà delle famiglie italiane, quella più povera. Queste hanno nel complesso il 7,4% della ricchezza nazionale. Nel 2010 era l ‘8,3%

Nel 2024, i miliardari italiani hanno guadagnato 61,1 miliardi di euro. Si tratta, in media, di 166 milioni di euro al giorno, o circa 116mila euro al minuto. Il loro patrimonio complessivo, a metà 2024, era di 272,5 miliardi di euro nelle mani di 71 persone. Peraltro, se in alcuni casi si tratta di ricchezze costruite in prima persona, Oxfam sottolinea che “il 63% della ricchezza miliardaria in Italia è frutto di eredità”.

Passando dai ricchi ai poveri, questi invece, si trovano sempre più in difficoltà. Nel 2023 la povertà assoluta è rimasta stabile: circa 5,7 milioni di persone vivono sotto questa soglia, ovvero non possono comprare i beni e i servizi essenziali per sopravvivere.

Nonostante la Meloni non si stanchi mai di ricordare che l’occupazione è aumentata durante il suo governo, “i salari rimangono stagnanti”, perché il salario medio annuale reale non cresce da trent’anni. Certo, tra il 2019 e il 2023 gli stipendi sono aumentati sulla carta del 6-7%. Ma nello stesso tempo con l’inflazione i prezzi sono saliti del 17-18%. Così, i salari hanno perso potere d’acquisto.

di Megas Alexandros

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MEGA ALEXANDROS (ALIAS FABIO BONCIANI)

Economista
Modern Monetary Theory specialist
Author of ComeDonChishiotte